Moduli con false certificazioni, anche la Corte di Cassazione dà ragione al soggetto responsabile incolpevole
Pubblicato su Nextville.it il 24 maggio 2017
È di estrema rilevanza la recente sentenza della Corte di Cassazione n. 9967/2017, che ha nuovamente dato ragione ai titolari di impianti fotovoltaici, “vittime” della nota truffa sulle certificazioni false, che attestavano la provenienza europea dei pannelli. Costoro possono ora definitivamente sperare di conservare l’incentivo base, anche a fronte della produzione di certificazioni contraffatte per accedere al premio “made in Ue”. Si tratta di acquirenti di moduli commercializzati a nome Zuccoti e Axitec, soprattutto, ma anche con altri marchi.
Un po’ di storia
Facciamo un passo indietro: l’articolo 11 comma 2, lettera b), del Decreto del Ministro dello Sviluppo Economico 5 maggio 2011 (che ha disciplinato il IV Conto Energia) prevede che avrebbero potuto beneficiare delle tariffe incentivanti gli impianti entrati in esercizio in data successiva al 31 maggio 2011, conformi alle norme tecniche richiamate nell’Allegato 1 e i cui pannelli fossero certificati in accordo con le norme CEI indicate dal decreto medesimo.
L’Allegato 1, inoltre, precisa che i moduli avrebbero dovuto essere provati e verificati da laboratori accreditati e che gli impianti fotovoltaici – e i relativi componenti – avrebbero dovuto rispettare le prescrizioni tecniche contenute, tra l’altro, nella norma CEI 50380, per la quale “tutte le etichette e le targhe sono in materiale duraturo dentro o sopra il modulo fotovoltaico […] una identificazione con numero di serie contenente il nome del costruttore ed il numero di serie deve essere apposta in modo tale da non essere amovibile”.
Il Dm, all’articolo 14, prevede, altresì, il riconoscimento di “premi per specifiche tipologie e applicazioni di impianti fotovoltaici” e, in particolare, del premio consistente nell’aumento del 10% della tariffa base, per gli impianti il cui costo di investimento – per le componenti diverse dal lavoro – sia riconducibile a una produzione realizzata all’interno dell’Unione europea per non meno del 60% (comma 1, lettera d), meglio noto come “premio made in Ue”.
Rispetto a tale premio, le Regole applicative del Gestore dei servizi energetici stabiliscono che la realizzazione dei moduli fotovoltaici all’interno dell’Unione europea avrebbe dovuto essere dimostrata attraverso un “Attestato di controllo del processo produttivo” in fabbrica (Factory Inspection Attestation/Declaration), ai fini dell’identificazione dell’origine del prodotto, rilasciato da un Organismo di certificazione. Analoghe previsioni prevede il successivo Dm 5 luglio 2012 (V Conto Energia).
La sospensione degli incentivi e dei premi
Numerosi produttori, anche per tentare di compensare la riduzione del valore delle tariffe incentivanti, occorsa con il susseguirsi dei vari Conti Energia, installarono impianti realizzati con componenti prodotti all’interno dell’Unione Europea per usufruire del relativo premio.
Molti dei soggetti che chiesero l’applicazione del premio erano operatori non industriali, che avevano installato impianti di taglia inferiore a 20 kW, assistiti da installatori che avevano fornito agli interessati i pannelli acquistandoli direttamente dai produttori.
A distanza di qualche anno dal riconoscimento ed erogazione degli incentivi e dei premi descritti, il GSE, in un primo tempo (nel 2014) aveva cominciato a comunicare la sospensione dell’erogazione degli incentivi (e dei premi) agli impianti fotovoltaici che accedevano al IV e V conto energia (Dm 5 maggio 2011 e Dm 5 luglio 2012), a seguito di verifiche dalle quali sarebbero emersi dubbi sul “made in Ue” dei componenti degli impianti. Ciò accadeva nonostante i produttori avessero effettivamente fornito al GSE l’Attestato di controllo del processo produttivo in fabbrica (Factory Inspection Attestation/Declaration), rilasciato da Organismi di certificazione aventi i requisiti indicati nella Guida CEI 82-85, come espressamente previsto dalle Regole applicative per il riconoscimento delle tariffe incentivanti di cui al Dm 5 maggio 2011 e al Dm 5 luglio 2012, pubblicate dal GSE rispettivamente nel giugno del 2011 (ultima revisione giugno 2012) e nell’agosto del 2012.
Sanzione non proporzionata
La sanzione della sospensione integrale degli incentivi era apparsa sin da subito non proporzionata, anzitutto perché irrogata ai produttori di energia, vittime incolpevoli di illeciti commessi da soggetti terzi – e cioè i produttori/venditori di pannelli e Organismi di certificazione – su cui essi non erano tenuti a esercitare alcuna forma di controllo; e, in secondo luogo, perché eccessiva rispetto al fatto accertato: la dubbia provenienza dei componenti degli impianti dall’Unione Europea. Infatti, la caratteristica “made in Ue” non costituiva il presupposto per il riconoscimento dell’intera tariffa incentivante, bensì solo di un premio aggiuntivo (ed eventuale) previsto dall’articolo 14, comma 1, lettera d) del Dm 5 maggio 2011 e dall’articolo 5, comma 2, lettera a) del Dm 5 luglio 2012.
Il GSE, anche a seguito delle rimostranze dei produttori e delle Associazioni di categorie, revocò la sospensione degli incentivi, confermando nel contempo la sospensione del premio, riservandosi, tuttavia, di procedere ad attività di verifica (documentale e mediante sopralluogo), per meglio accertare i fatti.
A seguito delle verifiche, il GSE cominciò a dichiarare la decadenza dagli incentivi e dai premi, disponendo, nel contempo, il recupero integrale delle somme già erogate.
La giurisprudenza a sfavore
I primi giudizi promossi avanti al Giudice Amministrativo ebbero esito negativo.
Ad esempio, con sentenza n. 11706/2015, il TAR Lazio – Roma, III ter aveva ritenuto, anzitutto, che la decadenza dall’incentivo non poteva che riguardare l’intero importo dell’incentivo e non solo il premio “made in Ue”.
Nessun rilievo, inoltre, il Giudice di primo grado aveva attribuito all’elemento psicologico (ovverosia, alla mancanza di dolo o colpa dei produttori di energia, nella produzione di certificazioni poi verificatesi false) ritenendo che il mancato riconoscimento dell’incentivo, così come la decadenza da esso e la restituzione delle somme eventualmente già erogate, non avrebbe avuto natura sanzionatoria, ma ripristinatoria dei rapporti.
E quella a favore
Il Consiglio di Stato – chiamato a decidere sull’impugnazione della sentenza n. 11706/2015, sopra richiamata – con la sentenza n. 2006 del 18 maggio 2016, condividendo le ragioni del titolare dell’impianto, ha riformato la sentenza di primo grado e annullato il provvedimento di decadenza.
Il Giudice di appello, infatti, ha evidenziato che le norme incentivanti, ai fini dell’adozione dei provvedimenti di decadenza degli incentivi, richiedono che la violazione accertata sia “rilevante” ai fini del riconoscimento degli incentivi; pertanto, le dichiarazioni false (o le certificazioni contraffatte) avrebbero potuto legittimare la decadenza dagli incentivi (e il conseguente recupero delle somme già erogate) solo se rese ai fini dell’ottenimento degli incentivi e non, invece, quando la non veridicità delle dichiarazioni – rese ai soli fini dell’ottenimento del premio – sia dipesa da un errore formale (nemmeno commesso dal produttore di energia) e, comunque, la loro assenza non avrebbe inciso negativamente sull’esito del procedimento di riconoscimento dell’incentivo base.
Pertanto, poiché le violazioni riscontrate (produzione di certificazioni false relative alla provenienza europea dei pannelli) attenevano al riconoscimento del premio aggiuntivo “made in Ue” e non dell’incentivo base, esse non avrebbero legittimamente potuto giustificare il provvedimento di decadenza dalla tariffa base.
Nel caso particolare, il titolare dell’impianto si era munito di una perizia tecnica che attestava la conformità dei moduli ai parametri tecnici previsti dalla disciplina incentivante per l’accesso agli incentivi e, quindi, la non rilevanza delle violazioni commesse.
Il ricorso del GSE respinto dalla Corte di Cassazione
Tuttavia, il GSE, evidentemente non soddisfatto dalla pronuncia del Consiglio di Stato, e anche in considerazione del fatto che molti operatori, forti della pronuncia del Consiglio di Stato, avevano cominciato a chiedere un riesame dei provvedimenti di decadenza, ha promosso un ricorso in Corte di cassazione con cui ha denunciato il difetto di giurisdizione per violazione dei limiti esterni alla giurisdizione del giudice amministrativo e l’eccesso di potere giurisdizionale.
Sotto un primo profilo, secondo il GSE, l’indagine sulla rilevanza della violazione non poteva spettare al Giudice, poiché la presentazione di dichiarazioni false è di per sé rilevante, ai sensi della disciplina regolamentare sull’attività di controllo del GSE (Dm 31 gennaio 2014) che costituisce un limite all’attività interpretativa del Giudice.
Sotto un secondo profilo, il Giudice, nel valutare la perizia tecnica di parte (prodotta per la prima volta in giudizio) e considerarla sintomo della non rilevanza della violazione, si sarebbe sostituito al GSE nella valutazione tecnica (a questo riservata) dei requisiti per l’accesso agli incentivi.
Il ricorso del GSE è stato recentemente dichiarato inammissibile dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 9967/2017.
La Cassazione, infatti, ha ricordato che l’eccesso di potere giurisdizionale si verifica solo allorché il Giudice applichi non già la norma esistente ma una norma di propria creazione, mentre non si configura quando il Giudice si limiti all’attività interpretativa della norma esistente; ed è quanto aveva fatto il Consiglio di Stato, che ha ricavato dalle norme incentivanti (interpretandole) il principio secondo cui la decadenza del diritto alla percezione degli incentivi non può legittimamente conseguire all’accertamento di una violazione non rilevante per l’accesso agli incentivi medesimi.
Inoltre, la Corte ha precisato che l’eccesso di potere giurisdizionale, sotto il profilo dello sconfinamento nell’ambito del merito amministrativo, si ha quando l’indagine del Giudice sia preordinata a una diretta e concreta valutazione dell’opportunità e convenienza del provvedimento amministrativo, ovvero nei casi in cui la decisione esprime una volontà che si sostituisce a quella propria della (e riservata alla) amministrazione e, al contrario, ha accertato che il Consiglio di Stato ha esercitato correttamente il proprio sindacato di legittimità, verificando la conformità del provvedimento di decadenza alla disciplina normativa di riferimento
Questa pronuncia riporta, infatti, in mano al TAR e al Consiglio di Stato il tema delle conseguenze delle false attestazioni e certificazioni rispetto ai soggetti responsabili. Sarà ora interessante vedere quanto (o quanto rapidamente) il TAR Lazio si conformerà all’orientamento espresso dal Consiglio di Stato e sopra espresso.